martedì 6 novembre 2007

ALLENARE IN ALGERIA NEL MESE DEL RAMADAN



Sto vivendo la mia seconda stagione in Algeria, allenando il Mouloudia Club d’Algeri, squadra che partecipa al Campionato di serie A. E’ la prima volta però che lavoro nel periodo del Ramadan in un paese rigorosamente musulmano. Allenare in questo particolare periodo religioso è molto difficile per il tecnico e soprattutto per i giocatori.
La prima cosa da chiarire è definire con estrema semplicità: che cosa è il Ramadan?
Il Ramadan è il mese del digiuno dei musulmani; dal sorgere del sole sino al tramonto, ogni osservante si astiene dal mangiare e dal bere. Letta in questo modo è semplice, vista dal punto di osservazione di un allenatore italiano che per la prima volta lavora in questo periodo, così importante per i musulmani, è una cosa molto più complessa.

LE ATTIVITA’ UFFICIALI:
Tutti i campionati, compresi quelli del settore giovanile non subiscono nessuna modificazione rispetto alla programmazione ordinaria. Ci sono quindi gare del settore giovanile che si giocano in tutto l’arco della giornata senza bere nè mangiare.
E’veramente difficile anche vedere una partita nel periodo del Ramadan, perché si capisce chiaramente quali e quante difficoltà incontrino gli atleti, ma in questi casi bisogna usare molto tatto e molta diplomazia. Non ho imposto nulla, anche perché non credo sia giusto, molto umilmente ho chiesto a giocatori, dirigenti e tecnici locali, quale lavoro normalmente veniva proposto nei Ramadan precedenti e ho cercato, nel rispetto della religione e delle tradizioni, di apportare delle piccole modifiche che potessero rendere il momento dell’allenamento più facilmente sopportabile.

GLI ALLENAMENTI : Dopo una serie di informazioni raccolte, ho chiesto ai miei dirigenti di mettermi a disposizione un impianto con le luci artificiali per poter lavorare alle 22,00 il primo e il secondo giorno di allenamento (sabato e domenica) per tornare sul campo alle 15,00 il terzo, quarto e quinto giorno di lavoro (lunedì, martedì e mercoledì).
Nella prima settimana di lavoro le cose sono andate abbastanza bene: è certo che il carico di lavoro concertato con il mio preparatore atletico Vito Azzone, si è notevolmente ridotto. Anche i valori registrati dal cardiofrequenzimetro si sono notevolmente ridotti passando al 75%. Certo è che nel primo giorno di allenamento non so, né nessuno mi sa dire, se questa particolare distribuzione dei pasti durante la giornata sia in grado di reintegrare le scorte di glicogeno utilizzare durante la gara. Nel caso in cui le 48 ore che separano la gara dal primo allenamento settimanale, non fossero sufficienti, rischierei di vanificare l’effetto allenante della prima seduta. Ho eliminato l’allenamento mattutina della domenica, che solitamente dedico alla palestra, e sono passato ad un tempo complessivo di circa un’ora e quindici di lavoro. Nelle sedute “notturne” la parte atletica è stata sicuramente quella più importante. Ho notato durante le esercitazioni tecnico-tattiche una difficoltà maggiore nella gestione del pallone. E’ molto facile vedere giocatori tecnicamente molto dotati, commettere errori macroscopici, che in situazioni normali mai avrebbero commesso. La velocità d’esecuzione del gesto è molto rallentata. Sembra di assistere ad una gara alla moviola. I giocatori si sanno comunque ben gestire durante questo mese e, soprattutto i più esperti sanno ben dosare le energie per “cercare” di arrivare alla fine della gara in maniera decente. Gli ultimi dieci minuti di gara sono veramente molto difficili per tutti. La temperatura che si aggira sui 30° C, l’orario delle gare diurne fissate per le 14,00, lontano nove ore dall’ultima assunzione di cibo e acqua. Se poi si aggiunge che alle 16,00, al fischio finale dell’arbitro, mancano ancora quattro ore per poter bere e mangiare, ci si rende conto delle difficoltà oggettive che questi atleti incontrano
Non mi permetto ne mi compete fare considerazioni in merito su una questione così importante come il Ramadan per i musulmani. Credo però che se si vuole veramente venire incontro alle difficoltà dei giocatori musulmani e degli sportivi in genere, potersi allenare sempre in notturna e giocare la sera alle 22,00 renderebbe tutto più facilmente sopportabile .
Ma quando si vivono esperienze professionali come quella che sto vivendo in Algeria, bisogna avere l’intelligenza di entrare nella cultura, nei costumi, nella religione del paese che ti ospita, rispettarne le linee guida e al loro interno cercare di portare dei correttivi che possano migliorare la prestazione. Per tutti coloro che pensano di poter lavorare all’estero bisogna mettere nel conto anche questo tipo di situazioni che sicuramente contribuiscono ad ampliare l’esperienza maturata e che ti “costringono” a ricercare continuamente soluzioni che possano migliorare la prestazione, ripeto, entro i confini tracciati dalla cultura di un altro paese. Un ultimo pensiero che mi viene in mente, da allenatore che ha operato per un decennio nei settori giovanili di Lodigiani e Lazio è questo: nel nostro Paese, l’Italia, la presenza di persone musulmane è sempre più numerosa. Figli di emigranti che nascono in Italia, vanno nelle nostre scuole, sono cittadini italiani a tutti gli effetti e ……musulmani. Noi allenatori italiani siamo in grado di proporre dei lavori differenziati a questi giovanissimi in questo periodo particolare del Ramadan? Abbiamo la capacità di far accettare agli altri ragazzi una religione diversa dalla nostra che comporta abitudini, comportamenti differenti? E’ una riflessione che faccio a me stesso, e che rivolgo ai miei colleghi. La civiltà di un Paese si misura anche sulla capacità di ascoltare e rispettare gli altri. Nel mondo esistono un 1.300.000.000 musulmani, in Italia 500.000, numero che sta aumentando in virtù di una legge che favorisce il ricongiungimento famigliare. Non conosco il dato numerico dei giovani musulmani tesserati dalla FIGC, ma sono convinto che il Calcio sia un vero strumento d’integrazione nella nostra società. Gli allenatori di Settore Giovanile ai giocatori, sono abituati a chiedere solo l’anno di nascita e il ruolo. Non chiediamo mai di che religione sei. Perché il Calcio per noi va oltre i confini di un Paese, va oltre il credo religioso. Gli allenatori di calcio, indipendentemente dalla categoria nella quale operano, possono rappresentare un vero esempio da seguire per molte persone che ancora non hanno capito di vivere nel secolo della globalizzazione culturale e che sono convinte che il modo migliore per vivere sia quello di rinchiudersi nelle proprie certezze.

Enrico Fabbro
Allenatore Professionista della F.I.G.C.

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