giovedì 29 luglio 2010

QUANDO SI DICE IO L'AVEVO.......

6 luglio 2002 - Fonte : Gazzetta dello Sport

«Un nuovo modello per i giovani»

Papponetti: «Non possiamo inseguire la serie A Dobbiamo formare prima i tecnici, poi i ragazzi» Il presidente del settore giovanile chiede investimenti per la formazione e la selezione


Antonio Papponetti, aquilano, 59 anni, è stato arbitro di serie C, designatore regionale e componente del direttivo del settore tecnico. Da gennaio è il presidente del Settore Giovanile e Scolastico della federazione, tocca a lui far pesare il lavoro delle migliaia di società che in Italia crescono settecentomila ragazzi-calciatori. - Presidente, come stanno i vivai? «Vista la finale Allievi dilettanti? Brutta: se è il massimo che produciamo, c' è qualcosa da rivedere. Non hanno giocato, e tutto questo si rispecchia nel calcio dei grandi, che ci condiziona. Al Settore Giovanile, ai nostri 700.000 ragazzi serve un modello diverso, che noi dobbiamo proporre. Cambiando dalla base potremo poi condizionare il calcio degli adulti». - Quale modello ha in testa? «Ne conosciamo principalmente tre. Quello olandese, con esercizi strutturati leva per leva; il modello inglese, basato sui college, e quello francese, dove la federazione interviene nella selezione, curando ogni giorno la crescita dei migliori salvo riconsegnarli ai club nei fine settimana: mi sembra improponibile in Italia». - Dobbiamo scegliere? «La nostra realtà è fatta di oltre tremila scuole calcio: su quelle dobbiamo, dovremo lavorare con un gruppo di istruttori che, partendo da Coverciano, impongano un modello di formazione tecnicoattitudinale ma anche tattica e psicologica. Attraverso le scuole calcio dovremo fornire teoria e materiali, vestire d' azzurro i bambini, come i club già fanno». - Il Settore Giovanile dovrebbe dettare le regole. Poi? «Il passo successivo è la selezione. I migliori devono approdare in scuole-calcio federali, u na per regione». - Sembra un sogno. E i soldi? «Idee simili si reggono con grandi investimenti. Oltre che su istruttori che hanno le giuste caratteristiche: nel senso che devono essere una guida capace e riconoscibile, ex calciatori che i ragazzi possano apprezzare sotto il profilo tecnico e umano. Servono professionisti». - Il suo progetto, quindi, qual è? «Su sollecitazione del presidente Carraro ho cercato soluzioni. Ma non mi permetto di tracciare strade che anche altri possono indicare: ho consegnato una relazione con alcuni "spunti di riflessione". L' importante è che se ne discuta il 16 e il 17, al Consiglio federale. Poi si prenderanno le decisioni: il Settore Giovanile aspetta indicazioni». - Nei suoi spunti, chi fa la formazione? «La vastità del nostro movimento ha consentito l' accesso a tutti, poi l' Uefa ha imposto il tecnico di base, che lavora con adulti e ragazzi. E' sbagliato, dobbiamo inventarci qualcosa di nuovo per proteggere la specificità di chi insegna calcio, che è un tecnico diverso da chi li allena a vincere. Ci serve un Master per preparare i tecnici di settore giovanile». - Imporre una certa categoria di allenatori significa alzare i costi delle società dilettantistiche: non tutti possono permettersi di pagare simili professionalità. «A questo serve il gruppo di istruttori federali itinerante: dovremo mandarli nelle scuole calcio a formare gli allenatori, per migliorarne la preparazione. Chi non avrà istruttori adeguati non potrà fare scuola calcio. Due cose devono essere chiare: una simile rivoluzione non si fa in un giorno e toccherà anche grandi interessi, perché le scuole spesso sono un business. Per questo ci vuole la volontà e la forza di cambiare e servono almeno 4 anni prima di raccogliere risultati». - Fra gli spunti pare ci sia anche un ridimensionamento: è vero che non si faranno più gli stage e le selezioni nazionali Under 15? Sembrerebbe un passo indietro in nome dei costi. O no? «Se cambieremo qualcosa lo faremo per lavorare in maniera diversa, al passo coi tempi. Un esempio? I nostri tecnici avevano preparato una stupenda pubblicazione, rimasta nei cassetti: l' abbiamo ripresa e la stiamo mettendo su cd-rom, perché i ragazzi usano strumenti diversi e noi dobbiamo parlare con loro. Il progetto Bianchi è scaduto il 30 giugno, non è detto che non prosegua diversamente e che i tecnici (Antonio Rocca, Paolo Berrettini e i loro collaboratori, ndr) non vengano confermati, magari in ruoli più ampi». - Torniamo al problema-strutture. Una per regione, non è, almeno in tempi brevi, ai limiti dell' impossibile? «Potremo chiedere la collaborazione dei club». - E i finanziamenti? «Potrebbero arrivare dai trasferimenti, dalle multe alle società e ai giocatori. Ma bisogna sentire altri attori, come le leghe. Sono idee. L' importante è lavorare: il movimento giovanile ha numeri record, ora ha bisogno di produrre qualità: lavoriamo e affiniamo il progetto strada facendo. Però partiamo ora». - La scuola è ancora una ricchezza? «Non siamo mai riusciti a entrare nella scuola. E' importante per il nostro lavoro di promozione, ma credo che lavorare ancora sulla scuola sarebbe inutile». - Le iniziative del Settore sono tante, ma che cosa ancora non funziona? «Anche le nostre nazionali devono poter contare sul marketing della federazione: gli accordi vanno spalmati su tutta l' attività. E dobbiamo arrivare in fondo con l' informatizzazione: serve una scheda elettronica con i dati dei ragazzi, la loro vita sportiva. Dobbiamo fare un salto di qualità tutti insieme, lasciarci alle spalle il volontariato che pure ha retto il nostro calcio giovanile. Perché c' è sempre meno gente motivata e perché non è giusto lavorare gratis. Dirigenti e tecnici vanno riqualificati, e qui torniamo all' inizio, alla formazione e agli investimenti». - Quanto dovremo aspettare? «Sino al 16 luglio, al Consiglio federale. Ma bisogna iniziare a fare qualcosa, altrimenti stiamo spendendo il nome di Carraro, di un grande dirigente, per nulla». Manlio Gasparotto INCHIESTA SUI VIVAI Ora servono idee e denaro 5ª PUNTATA / fine (m.g.) In coda a una settimana dedicata alle problematiche del vivaio, ecco la voce del presidente. Antonio Papponetti ha sostituito Mazzini (ora vicepresidente federale) cominciando a girare l' Italia per registrare le difficoltà. Adesso si racconta, non parla di progetti perché spiega che le cose migliori si fanno in team. Ma qualche sasso nello stagno della politica sportiva lo getta. Il più importante è quello dei centri federali, uno per regione. Non è un' idea nuovissima, anzi, l' hanno rilanciata dirigenti diversi in sport diversi, ma è un buon modo per parlare di supporti. Di novità. Alle finali di Cesenatico, cui fa riferimento Papponetti, i tecnici parlavano di fantasia. E qualcuno accusava Coverciano: «Non arrivano indicazioni sufficienti, ordini perché si cambi metodo. Ai ragazzi s' imbriglia la fantasia e nessuno fa niente». Cose già sentite, ma ora viene chiamato in causa Coverciano, il Settore Tecnico. E si riaccende la «lotta»: a chi tocca formare i maestri? E, soprattutto, a chi tocca controllare che chi allena i ragazzini non abusi del suo ruolo? Qualcuno ci ha raccontato la storia di un bambino napoletano sostituito perché dribblava invece di passare la palla: a quell' allenatore andrebbe tolta la possibilità di far del male ai bambini e al nostro calcio. In questi giorni, in modi diversi, tutti hanno detto una cosa: riconsegniamo il calcio ai bambini. Come dargli torto? Oggi parliamo anche dei sogni ma anche delle loro paure. Come sono? Perché alcuni di loro lasciano? E facciamo parlare Maresca: lui scappò in Inghilterra. Ci racconta perché. (precedenti uscite lunedì 2, martedì 3, mercoledì 4 e giovedì 5) Volete davvero sapere perché i vivai si svuotano, il settore giovanile è in crisi e anche i Cassano, in fondo, piangono? Perché i ragazzi, quelli di 12, 13 o 14 anni, stanno scappando dal calcio, sono in fuga dall' impegno obbligato, dallo sport come dovere, successo, competizione. Non solo agonistica, ma soprattutto u mana. «Preferisco vivere» è la loro filosofia generazionale, almeno secondo psicologi, psicoterapeuti ed esperti dell' età evolutiva che elaborano questa tesi, forse provocatoria, ma certamente suggestiva. «Premetto: i giovani che praticano sport sono in costante aumento - dice Maria Rita Rampazi -. Ma associano la pratica con il concetto di "star bene", di attività necessaria alla propria forma fisica e, invece, si scontrano con l' o rientamento all' agonismo». La Rampazi, sociologa della facoltà di Economia dell' università di Pavia, è anche la curatrice della voce «Sport» del Rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia, la più accurata indagine nazionale giunta alla quinta edizione e condotta ogni due anni su un campione di tremila persone. Dal rapporto appena pubblicato emerge proprio una consistente crescita dei giovani sportivi, con un vero boom delle donne, ormai vicine ad azzerare il divario nella pratica sportiva prima esistente tra i sessi. «Il 42% degli intervistati pratica lo sport per divertimento, solo il 12% afferma di farlo per agonismo. Ma non è l' agonismo in quanto tale a essere valutato come negativo, il problema nasce quando lo si associa alla carriera. Quando il ragazzo intuisce che la sua attività sportiva potrebbe essere strumentalizzata a fini economici, scatta il rifiuto. E non si può nascondere che è la famiglia il luogo in cui lo scontro si vive con più forza». Il fenomeno è generale, sport come il calcio rischiano di accentuarlo. O meglio, la struttura che si sono dati, le regole che lo governano, sembrano non rispondere alle aspettative giovanili. La forte competizione, l' organizzazione iperprofessionale di molte scuole calcio, la ricerca quasi sistematica del campioncino, con annesso proliferare di agenti, procuratori, osservatori, pronti a «blindare» la possibile, futura, gallina dalle uova d' oro, lasciano spazio solo a chi vede nel calcio uno strumento per la vittoria, il successo, la ricchezza. E sospingono gli altri verso sport dove il «gioco» e il «divertimento» sono ancora centrali. Una conferma, seppure indiretta, arriva dal dato sui tesseramenti annuali dei calciatori dai 6 ai 16 anni: sono in totale 545 mila, ma con una media di abbandono del 15-20% a stagione e con solo 59 mila tesserati annuali fra i quindici-sedicenni. Il resto si perde, cambia strada. Si disinnamora, per quanto difficile sia generalizzare, stilare statistiche e per quanto normale si possa ritenere una selezione dei «bravi» e dei «vincenti». «E' opportuno far notare, però, che la crisi investe tutto l' associazionismo - dice Gustavo Charmet, docente di Psicologia all' università di Milano Bicocca -. E' molto difficile tenere i ragazzi oltre i 12 anni di età all' interno di strutture pensate e gestite per loro dagli adulti. La crisi investe lo scoutismo, gli oratori, non solo lo sport. I giovani sembrano sviluppare una propensione a organizzarsi per conto loro, è come se costruissero una società parallela dove i valori affettivi stanno sostituendo quelli etici. Questa generazione è fatta così: se proponi loro fatica e dovere, fuggono. I soldi, il potere, non hanno attrattiva. Se la squadra non è un luogo di affetti, ma di privazione, li costringerai a farsi da parte. Se offri loro u n' occasione per realizzarsi in modo spontaneo, un progetto che aiuti il gruppo a non annoiarsi, ti seguiranno. Non a caso il Mister è u na figura importante, provano affetto per lui, ci tengono a non deluderlo, purché sia un a mico di cui fidarsi». Anche di ciò si trova conferma nel rapporto Iard che indaga sul sistema dei valori e stila una mappa delle «cose importanti della vita». «Ci troviamo di fronte alla "irresistibile ascesa della socialità ristretta" - si legge - . I dati confermano il crescente peso dato dai giovani alle relazioni interpersonali, in particolare a quelle amicali e affettive». Così, dopo la famiglia (85,9%) vengono l' amore e l' amicizia, mentre ai piani più bassi, prima solo di patria, impegno religioso, politica, tra le cose meno importanti della vita, troviamo successo e carriera (32,7%) e attività sportive (28,7%). «Il danno principale è il tesseramento precoce - dice Lucia Castelli, psicopedagogista -. Cominciano prestissimo. A 15 anni hanno la nausea da competizione, l' hanno già sperimentata in tutte le salse». Il punto di osservazione di Lucia Castelli, è privilegiato e in qualche modo a nomalo: collabora con il settore giovanile dell' Atalanta e si confronta con il fior fiore dei talenti calcistici, ma conferma impressioni e intuizioni. «Gli adulti vogliono vincere per interposta persona, sono loro il problema. I ragazzi vengono a giocare per divertirsi, per stare con gli altri, soltanto più tardi pensano al successo. E ognuno è un mondo diverso: c' è chi ama gareggiare, chi si diverte anche se perde, c' è chi smette se non vince. Molti rinunciano e sono campioni potenziali. Bisognerebbe cominciare a selezionarli solo dai 15 anni in su». E prima? «Fare come in Francia o nel Nord Europa. Società polisportive che offrono calcio, ma anche nuoto o basket; uno sport davvero per tutti, non più puro agonismo per la sola soddisfazione di genitori e allenatori. La realtà di oggi è quella di troppi bambini che si fanno venire un mal di pancia dopo l' altro pur di non competere». Una fuga per la non vittoria. Massimo Arcidiacono L' ABBANDONO / Psicologi ed esperti della condizione giovanile mettono a nudo i numeri di una crisi, quella di rigetto verso l' eccesso di agonismo Quella strana fuga... dalla vittoria La pressione dei genitori strangola la voglia di giocare, così a migliaia lasciano il calcio «Rifiutano competizione e dovere. Vogliono che la squadra sia un luogo di affetti» «Troppi tesserati precoci. Servono una visione polisportiva e meno agonismo esasperato» TESSERAMENTO Fra dilettanti e professionisti, sono quasi 700.000 i ragazzi dai 6 ai 16 anni che giocano a calcio. Il loro tesseramento passa dal Settore Giovanile e Scolastico, poi fanno riferimento alla lega Dilettanti (juniores), a quella di serie C (Berretti) e a quella di A (Primavera). Come funziona il tesseramento? Un anno Dagli 8 ai 12 anni, in qualsiasi società, i ragazzi firmano un cartellino che dura un anno, sino al 30 giugno, dopodiché sono liberi di giocare dove vogliono. Il biennale Dai 12 ai 16 anni i ragazzi possono anche firmare cartellini della durata di 2 anni. Dilettanti Al compimento dei 14 anni, però, le società dilettantistiche possono chiedere ai loro tesserati di firmare un cartellino a tempo indeterminato, il cosiddetto vincolo: deve essere sottoscritto dal ragazzo ma anche dai genitori. Lega il ragazzo a vita con quella società. I «prof» Diverso il regolamento per i ragazzi tesserati da squadre professionistiche, che invece propongono ai loro giocatori un cartellino quadriennale, che li lega sino al compimento del 18° anno, quando possono considerarsi liberi se nel frattempo non gli è stato proposto un contratto professionistico Le Noif Il tesseramento dei giovani calciatori fa riferimento agli articoli 31, 32 e 33 delle Noif.

Gasparotto Manlio

Fonte Gazzetta dello Sport 6 Luglio 2002

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