sabato 25 giugno 2011

Quanti guai per l'ex serie C Venti club a rischio iscrizione


Il conto alla rovescia è iniziato: almeno venti club (su 90) della Lega Pro, l'ex serie C, rischiano di non iscriversi alla prossima stagione. Mario Macalli con i suoi collaboratori tiene costantemente sotto controllo la situazione economico-finanziaria ma i primi segnali che arrivano dal fronte Covisoc non sono per niente incoraggianti. Entro il 30 giugno vanno presentate le domande di iscrizione (con le ricapitalizzazioni), il 18 luglio il consiglio federale annuncia i nomi delle società escluse dai campionato. Game over. Macalli sa benissimo che la situazione è grave, se non disperata: non per niente ha stabilito che il prossimo anno saranno bloccati i ripescaggi (76 potrebbe essere un organico accettabile), mentre martedì prossimo il consiglio federale varerà la riforma dei campionati (che sarà formalizzata poi entro il 31 luglio) e la Lega Pro, tra tre stagioni, avrà solo 60 club, divisi in tre gironi. "Il nostro obiettivo è di arrivare a 60 club sani e organizzati, che paghino gli stipendi, che abbiano impianti sportivi adeguati e che non siano poi penalizzati come quest'anno. E poi, vogliamo puntare sui giovani, questo deve essere il futuro: da qui non si sfugge", spiega Archimede Pitrolo, ascoltato vicepresidente della Lega Pro.

La mannaia sta per calare su tante società che hanno avuto un importante passato. In piena crisi ci sono infatti Salernitana, Brindisi, Catanzaro, Pro Patria, Canavese, Pergocrema, San Marino, eccetera. Novità societarie invece per quanto riguarda il Ravenna e l'Alessandria. Le quote del Ravenna sono passate al gruppo di Sergio Aletti: ma il club è coinvolto nel calcio scommesse e se venisse acclarata la responsabilità diretta (il ds Buffoni ha confessato) la punizione sarebbe piuttosto pesante. L'Alessandria invece è stata ceduta a Gionata Cella. Ok anche a Trieste: l'iscrizione al campionato di prima divisione, dopo la retrocessione dalla B, dovrebbe essere garantita. Anche a Piacenza il patron Garilli si sarebbe impegnato a iscrivere la società (ma deve ripianare una cifra ingente). La volata è iniziata: fra processi sportivi e iscrizioni ai campionati sarà un'estate bollente anche per la Lega Pro.

FIGC - LND Lombardia: Assolto MILESI


«Assolto perché il fatto non sussiste».

E con lui assolti Italo Dodesini, Ruggiero Ronchi e Gigliola Tonoli. È arrivata a un esito processuale la vicenda di Giuliano Milesi, l'ex presidente del comitato lombardo della Figc che nell'ottobre del 2007, dopo una serie di esposti inoltrati dall'allora ds della Sirmionese Stefano Chiari (all'ufficio indagini della Figc e alla Procura di Milano), fu deferito alla Disciplinare e in seguito colpito da un provvedimento di inibizione di 10 mesi (diventati 14 davanti alla Corte di Giustizia Federale e poi tornati 10 in sede di arbitrato del Coni). La sentenza costrinse il bresciano Milesi a lasciare la carica e il presidente nazionale Tavecchio a commissariare il comitato lombardo. All'ex presidente si contestavano irregolarità nella gestione del comitato e, in particolare, nei rapporti con i fornitori.
Fin qui il versante della giustizia sportiva, che era arrivata alla sentenza definitiva nel giugno del 2008. È datata 17 giugno 2011, invece, la sentenza emessa dal tribunale di Milano, il primo pronunciamento sulla vicenda da parte della giustizia ordinaria. Davanti alla sesta sezione penale (dopo che il Pm aveva già chiesto e ottenuto l'archiviazione per altre imputazioni) l'ex presidente regionale doveva rispondere all'accusa di aver gonfiato il costo di una fornitura di coppe da parte della Trofeo Ronchi (traendone un ingiusto profitto di 5000 euro) e di un servizio di organizzazione di un convegno avvenuto all'hotel Desenzano (3000 euro). Ricostruite le due vicende, esaminati gli atti e sentite le testimonianze, il giudice Marco Tremolada ha emesso la sentenza di assoluzione per Milesi e tutti gli imputati.

E adesso può, se vuole, avvalersi dell'Art.39, per rivedere la squalifica di 10 mesi inflittagli dalla Federazione a suo tempo.

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sabato 18 giugno 2011

da L’ESPRESSO

Esclusivo

Calcio truffa, un altro scandalo

di Malcom Pagani

Mentre il mondo del pallone è sotto inchiesta per le scommesse, scoppia la questione premiopoli: i soldi finiti ai club che lanciano talenti. Un intrigo di falsi documenti che coinvolge anche la serie A

(16 giugno 2011)

"A quel punto il collaboratore della Federcalcio mi disse come fare a ingannare le regole. E assicurò che avrebbe contattato il mio presidente Mezzaroma per spiegargli come non pagare la quota a carico del Siena".

Nei verbali della giustizia sportiva si materializza un altro scandalo del pallone. Le scommesse e i risultati combinati non c'entrano. Si tratta di una trama di mediatori e funzionari sleali che arriva al cuore del problema: l'incapacità del calcio italiano di fare pulizia al suo interno. E questo nuovo imbroglio va a soffocare le risorse che potrebbero far resuscitare il gioco più amato: i vivai giovanili delle squadre minori.


Il meccanismo è semplice: quando un calciatore cresciuto nei dilettanti esordisce in serie A o in Nazionale, alla società che lo ha svezzato spetta un emolumento in denaro. La cifra dipende dagli anni di militanza e varia tra i 18 mila e i 100 mila euro. Con quei soldi, tra i dilettanti, si tira avanti una stagione: ossigeno puro per un universo di club minuscoli in bancarotta costante. La partita dei premi di formazione vale globalmente alcuni milioni di euro.


Ma si scontra con un problema formale: ricostruire con i documenti ufficiali la storia anagrafica di un ragazzo diventato campione non è semplice. Gli archivi informatizzati esistono soltanto dal 2000 e spesso l'unico modo per risalire ai primi anni di carriera è ricorrere all'autocertificazione. E' questo il varco sfruttato da alcuni per contaminare la regola virtuosa. Costringendo i calciatori a mentire. Garantendo denaro per il disbrigo della pratica. Ponendosi come intermediari tra le parti. Arrivando prima di altri a informazioni che solo chi lavorava in Federcalcio poteva consultare. Con scarsa fantasia gli addetti ai lavori parlano di "Premiopoli". E' in questa sciarada di rimborsi, carte bollate e mezzi silenzi che si nasconde una "Calciopoli" di retroguardia, che potrebbe esplodere con imprevedibili danni collaterali. La procura federale ha aperto un'inchiesta, contestando la violazione di tre articoli del codice di giustizia sportiva. Ma i primi investigatori che si sono occupati del caso sono stati allontanati e tra pochi giorni il tempo per l'indagine terminerà. Mentre se gli atti dell'istruttoria venissero trasmessi alla magistratura ordinaria si potrebbero ipotizzare reati molto gravi: truffa, falso in atto pubblico e appropriazione indebita. Tutto però resta nei cassetti di Stefano Palazzi, il grande inquisitore del football.


Autocertificazione Birikina

Per lungo tempo i premi agli allevatori di fuoriclasse sono stati trascurati o ignorati dalle società d'origine. Poi all'improvviso le grandi squadre sono state sommerse dalle richieste, inoltrate dai piccoli e gestite dalla Federazione. In moltissimi casi, si basavano su una autocertificazione in cui il neocampione dichiarava di provenire dal campetto di una provinciale. Una delle pratiche rilette poi dagli investigatori è quella di Federico Marchetti, il portiere a cui il bel campionato del 2010 vale il Mondiale sudafricano da titolare al posto dell'infortunato Buffon. Rientrato a Cagliari, Marchetti entra però in rotta di collisione con il presidente Cellino. Vorrebbe trasferirsi alla Sampdoria ma nell'attesa, finisce fuori rosa. Perché? Mistero. Ma molti parlano di una sua autocertificazione, con una firma su cui si addensano sospetti, che attesta il passato giovanile nella Radio Birikina Luparense e che ha fatto infuriare il presidente sardo Massimo Cellino, costretto a versare 50 mila euro a vantaggio della Birikina, formazione padovana di prima categoria.
Dopo una crescente serie di segnalazioni e voci, l'indagine sul rebus dei premi viene aperta da due investigatori della superprocura calcistica guidata da Stefano Palazzi: il sostituto Marco Mattioli e un collaboratore esperto dello stesso ufficio, Giovanni Grauso. I due ascoltano dirigenti, presidenti, debitori e creditori. Mettono in luce tasselli, ombre, menzogne, guadagni illeciti e contraddizioni. Scoprono che la pratica Marchetti è stata curata, come molte altre, da un 38enne toscano, F. F.: "l'Informatore". Nell'operazione i giocatori, eventuale veicolo del delitto e parte lesa, non guadagnavano un euro. Lo facevano altri: "Premiopoli" è una storia di soldi e di strane figure professionali. Mediazioni sospette

"L'Informatore" non è un allenatore, non è un procuratore, non è un dirigente, non è un tesserato. Ma si agita. Conosce in tempo reale informazioni che solo i pochissimi eletti che hanno accesso a S 400, il sistema computerizzato della Federazione, dovrebbero poter ottenere. Un calciatore esordisce in serie A? Ed ecco "L'Informatore" risalire rapido ai dati che lo riguardano o reperire l'autocertificazione. Telefona alla famiglia del giocatore. Si pone come negoziatore tra le società minori e la Federazione (incamerando una percentuale non inferiore al 20 per cento della transazione). Alza il telefono: "Il giocatore Mario ha esordito in serie A, voi avete diritto a tanti soldi. Della pratica mi occuperei io, quando otterrete l'indennizzo, una parte sarà mia..". Mattioli e Grauso corrono veloci e portano in superficie più di 80 casi simili a quello di Marchetti. Sotto la lente finiscono anche i premi per azzurri come Sirigu e Balotelli. Contestualmente tracima la rabbia delle società di serie A che hanno staccato, non sempre persuasi da procedure trasparenti, assegni pesanti ai club di categoria inferiore. Chievo, Livorno e Catania su tutti. Il direttore generale dei siciliani Pietro Lo Monaco è furente: "Se dalla Federazione non arriva chiarezza su una questione che da anni era nelle mani di un suo uomo, Amerigo Pichi, la cercheremo altrove. L'ok ai pagamenti ci arrivava dal governo del calcio ed è naturalmente a loro che chiederemo eventuali risarcimenti".

Un uomo chiamato semaforo

Amerigo Pichi, un ex professore di matematica in ottimi rapporti personali con il presidente Giancarlo Abete, è l'uomo chiave di questa storia. Per anni ha gestito le domande di ammissione ai finanziamenti nello stesso ufficio "lavoro e premi" in cui lavorava anche la "zarina" dell'affaire "Calciopoli", Maria Grazia Fazi. In federazione Pichi era soprannominato "Semaforo". Era lui a decidere, dopo aver consultato la documentazione, se le richieste potevano passare o dovevano fermarsi. Si è dimesso il 14 agosto del 2010. Dopo qualche deposizione compromettente sul suo conto e dopo che senza averne diritto, si era scoperto che la sua scrivania, in spregio a qualunque conflitto d'interessi, era frequentata da vicino dall'agente Fifa Marion Poteras, rappresentante di giocatori dalle varie nazionalità. Che nei saloni del calciomercato milanese, ai dirigenti impegnati nelle trattative si presentava così: "Ricorda? Ci siamo visti da Pichi. Se ha bisogno di un bomber mi chiami pure...". Ma ci sono anche accuse dirette, come quella di Stefano Osti, segretario generale del Siena: "Pichi mi parlò di F. F., indicandolo come l'uomo dietro la pratica delle autocertificazioni. Mi disse che avrebbe chiamato il presidente Mezzaroma per spiegargli come evitare di sborsare il premio".



Tranquilli, ci pensa Palazzi

A ottobre del 2010 accade qualcosa di molto strano. Improvvisamente, nonostante l'indagine proceda senza esitazione, Mattioli e Grauso vengono fermati. Invitati a togliersi dai piedi. Trasferiti d'urgenza dopo anni di carriera nella procura federale o dimissionati. Negli stessi giorni, in un albergo a due passi dall'aeroporto romano di Fiumicino, si svolge una riunione congiunta tra arbitri, dirigenti e alte sfere della Federazione. In quelle sede, i manager delle serie A si fanno sentire: vogliono chiarezza sul moltiplicarsi dei premi e delle autocertificazioni. Chiedono ai dirigenti federali le ragioni dell'allontanamento di Mattioli e Grauso dal caso: pretendono certezze, vengono rassicurati.

Della soluzione della questione si occuperà direttamente il presidente Abete, affidando il compito di illuminare il campo alla superprocura di Stefano Palazzi. Il magistrato conduce personalmente qualche nuova audizione, promette ranghi serrati e risposte rapide. Ma in breve, della vicenda non si sa più nulla. Entro fine mese, in coincidenza con la scadenza del mandato dello stesso Palazzi (sarà rinnovato almeno per un anno) la procura sportiva della Figc dovrà decidere se archiviare o aprire il procedimento. Non ci saranno altri supplementi di indagine. E Palazzi, alle prese anche con la scommessopoli cremonese è chiamato a fornire risposte che allontanino dalla sua struttura la martellante nomea di neo "Porto delle nebbie".

Uno strano furto
Dopo la riforma del 2007 e l'accorpamento tra ufficio indagini e procura federale, non c'è scandalo che non arrivi nel presidiato fortino di Palazzi. Vicende che valgono oro, come il ricorso della Juve sullo scudetto 2006. Porte blindate, guardie giurate, telecamere ovunque per difendere fascicoli su operazioni che possono avere ripercussioni su campionati milionari. Eppure, il 19 aprile accade l'impensabile. Qualcuno entra nell'ufficio "lavoro e premi " e sottrae "chirurgicamente" dal faldone preziose carte del caso Premiopoli. Va a colpo sicuro: tra i fogli rubati, brillano le autocertificazioni di alcuni noti calciatori coinvolti nella vicenda. Furto anomalo, quasi impossibile. Il successore di Amerigo Pichi, Fabio Branchini si rivolge ai carabinieri. Quando "Tuttosport" si occupa dell'incursione, un alterato comunicato della Federazione fa sapere che il massimo organismo del calcio conserva copie conformi "del materiale sottratto". E' una giustificazione che imbarazza per l'ingenuità. La fotocopia di un'autocertificazione, in caso di un procedimento penale o sportivo, non avrebbe nessun valore.

Il conto alla rovescia

Palazzi planò sul pallone devastato del maggio 2006 in sostituzione dell'ex titolare dell'ufficio indagini, il generale delle Fiamme Gialle Italo Pappa, dimessosi dopo tre decenni. Dietro i suoi Ray-Ban fumé, il potere scosso da Calciopoli cercava disperatamente un punto di vista. E il capo degli 007 della Figc lo offrì. Picchiando duro, con qualche eccezione in zona milanista. Palazzi non ama sorridere. Preferisce accentrare e decidere, in assoluta autonomia. La tendenza gli attira critiche feroci. Lo detestava Cossiga, emulato da juventini e laziali. Oggi, tra tante vicende da prima pagina, il grande inquisitore deve dare una risposta anche su questo scandalo che getta ombre sulla stessa Federcalcio.



I dirigenti come Lo Monaco del Catania, interpellati da "l'Espresso" confermano la propria indignazione e quelli tirati in causa come il patron senese Massimo Mezzaroma dettano frasi secche: "Non ho mai incontrato né conosciuto i personaggi in questione". E' d'obbligo registrare le autodifese degli altri protagonisti, a iniziare da F. F., "l'Informatore". Prima si preoccupa: "Come ha avuto il mio numero?", poi sostiene che il suo lavoro di intermediazione sia del tutto lecito, infine si descrive. Esagerando: "Il mio metodo d'indagine è quello di Woodward e Bernstein. Mi piace scavare nel passato dei calciatori. Ci guadagno? Certo, ma meno di quanto non sia stato detto". Poi l'ammissione. Grave, irrituale: "Ogni tanto qualche informazione mi arrivava dalle stanze della Federazione, non lo nego, ma da chi preferisco non dirlo. Forse sarà capitato che abbia suggerito a un calciatore di procedere all'autocertificazione per aiutare una piccola realtà in difficoltà in cui aveva militato".


"L'Informatore" ha deposto due volte in procura ("non ero obbligato a farlo") e si dipinge come un Robin Hood che toglie ai ricchi per aiutare i poveri del calcio. Amerigo Pichi, con il quale per mesi ebbe ottimi rapporti, nell'ultimo interrogatorio prima di dimettersi disse: "Riconosco le sue pratiche perché sono le più intricate e ho l'impressione che qualcuno gli passi informazioni riservate". Lui replica stupito: "Pichi può dire quello che vuole. Io lo chiamavo rappresentando gli interessi delle piccole società, gli chiedevo cosa bisognasse fare per far andare avanti la pratica e lui mi rispondeva". Pichi non c'è più, "l'Informatore" continua nella sua opera e nonostante Palazzi debba chiudere in fretta, l'inchiesta sembra morta. Chi ha rubato a chi? E soprattutto, c'è speranza che le istituzioni sportive ridiano credibilità al calcio senza bisogno di aspettare intercettazioni, manette e pubblici ministeri?